Ci sono figure nella storia che, come fari, illuminano il cammino di chi cerca risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza. San Tommaso d’Aquino è una di queste.
Nato nel 1225 a Roccasecca, in una famiglia nobile del Regno di Napoli, Tommaso sembrava destinato a una carriera ecclesiastica di prestigio, magari come abate di Montecassino. Ma il suo cuore lo portò altrove. A 19 anni, contro il volere della famiglia, entrò nell’Ordine dei Domenicani, attirato dall’ideale di povertà e studio. Rapito dai fratelli e trattenuto per un anno in una torre, non si piegò: la sua determinazione lo condusse a Parigi e Colonia, dove divenne uno dei più grandi pensatori della cristianità. Morì nel 1274 a Fossanova, mentre si recava al Concilio di Lione, ma il suo lascito continua a risuonare, un ponte tra fede e ragione che parla ancora oggi.
Una vita tra contemplazione e insegnamento
Tommaso crebbe in un’epoca di fermento culturale, tra il recupero dei testi aristotelici e le tensioni tra filosofia e teologia. Studiò a Napoli, poi sotto la guida di Alberto Magno a Colonia e Parigi, dove in seguito insegnò. La sua vita fu un intreccio di preghiera e studio: scriveva, insegnava, predicava. Tra le sue opere spiccano la Summa Theologiae e la Summa contra Gentiles, monumenti del pensiero occidentale. Canonizzato nel 1323 e dichiarato Dottore della Chiesa, Tommaso non è solo un santo: è un simbolo della possibilità di pensare il divino senza rinunciare alla razionalità.
Il pensiero: fede e ragione in armonia
Tommaso visse in un tempo in cui l’Europa riscopriva Aristotele attraverso le traduzioni arabe. Molti temevano che la filosofia pagana minacciasse la fede, ma lui ne fece un alleato. “La grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona” (ST I, q. 1, a. 8, ad. 2), sosteneva.
Tommaso è celebre per la sua distinzione tra essenza (ciò che una cosa è) ed esistenza (il fatto che una cosa sia). Solo in Dio essenza ed esistenza coincidono pienamente poiché Dio è l’atto puro, l’essere necessario e causa prima di tutto ciò che esiste.
La conoscenza umana parte dai sensi e procede verso l’intelletto, che astrae le forme universali dalla materia. Tuttavia, la ragione ha limiti e deve essere completata dalla rivelazione divina per comprendere verità soprannaturali.
Nella Summa Theologiae, un’opera incompiuta di migliaia di pagine, affrontò le domande eterne: chi è Dio? Cos’è l’uomo? Come si vive bene? Le sue “cinque vie” per dimostrare l’esistenza di Dio – dal movimento alla contingenza, fino all’ordine del cosmo – sono un esempio di come la ragione possa condurre al mistero.
Tommaso descrive Dio come semplice, infinito, immutabile e onnipotente. Usa il linguaggio analogico per parlare di Dio, poiché le parole umane sono inadeguate a descriverLo pienamente (teologia apofatica).
La legge naturale, poi, riflette la sua convinzione che ogni essere umano abbia dentro di sé una bussola morale, una razionalità innata che lo guida al bene. Questa legge è partecipata dalla legge eterna di Dio.
Tommaso armonizza la grazia divina con il libero arbitrio umano, sostenendo che la salvezza richieda la grazia, ma l’uomo coopera liberamente con essa.
La teologia: L’Eucaristia come cuore della fede
Se la filosofia fu il suo strumento, la teologia fu il suo fine. Tommaso dedicò grande attenzione ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia, che considerava il culmine della vita cristiana.
Nella Summa Theologiae (Terza Parte, questioni 73-83), sviluppò una dottrina profonda e innovativa, introducendo il concetto di transustanziazione. Per Tommaso, durante la Messa il pane e il vino non si trasformano solo simbolicamente, ma diventano realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, pur mantenendo le “specie” (l’aspetto esteriore) del pane e del vino. Questa trasformazione avviene per la potenza di Dio, che agisce attraverso le parole della consacrazione.
La sua teologia eucaristica non è astratta: è radicata nella fede incarnata, nel Dio che si fa vicino. Tommaso compose anche inni splendidi come il Pange Lingua e l’Adoro Te Devote, che ancora oggi accompagnano la liturgia, testimoniando la sua devozione.
Per lui, l’Eucaristia non era solo un mistero da comprendere, ma un dono da vivere, un’unione intima con Cristo che nutre l’anima e la prepara all’eternità.
La neoescolastica: una rinascita del tomismo
Il pensiero di Tommaso non si fermò al Medioevo. Nel XIX secolo, la neoescolastica riportò in vita le sue idee, rispondendo alle sfide del positivismo e del materialismo.
Con l’enciclica Aeterni Patris (1879), papa Leone XIII indicò Tommaso come guida per la filosofia cristiana, dando impulso a un movimento che coinvolse pensatori come Jacques Maritain ed Étienne Gilson.
La neoescolastica adattò il tomismo a questioni moderne – la dignità umana, la giustizia, il dialogo tra scienza e fede – influenzando persino il Concilio Vaticano II. Non fu un semplice ritorno al passato, ma un rinnovamento, che mostrò come le intuizioni di Tommaso potessero illuminare anche il presente.
Un’eredità viva
Tommaso morì a 49 anni, dopo un’esperienza mistica che lo portò a dire che tutto ciò che aveva scritto era “come paglia” rispetto a ciò che aveva visto.
Eppure, quella “paglia” ha riscaldato il mondo. In un’epoca di divisioni, dove fede e ragione spesso si scontrano, Tommaso ci insegna che possono convivere. La sua teologia dell’Eucaristia ci ricorda che il divino non è lontano, ma si fa pane quotidiano.
Ancora oggi possiamo riscoprirlo non come un’icona del passato, ma come un maestro per il nostro tempo, che ci invita a cercare la verità con mente aperta e cuore umile.
Mariano Hernan Muzzio