Dom. Apr 13th, 2025

Don Antonio: “L’ingresso nella città è trionfale, l’uscita è di sangue, la Vita non si lascia seppellire”

Sono arrivati i Santi giorni che ci fanno contemplare la passione del Signore, che avviene di dono in dono.
In solitudine e autorevolmente prende in mano tutta la liturgia che lo riguarda. Dalla prenotazione della puledra a quella del cenacolo, dalla preghiera all’Orto degli Ulivi fino al gestire la sua difesa disarmata, che non vuole nè dagli Apostoli né da Pilato.
Entra a Gerusalemme, “città della Pace”, sapendo che l’unico che può portarvi pace è lui, non trovandola mai all’altezza dei titoli che il Padre le aveva conferito, dandole un popolo, un sacerdozio e un Tempio, tutto mantenuto stretto da un’autarchia legale più forte dell’amore per Dio e nella parte civile due governi: un sovrano finto e una gestione romana non competente e infelice di abitarla.
La tragedia popolare, a grandi numeri, compone l’effetto di questo smarrimento: entrerà accolto, ne uscirà pesto, sarà crocifisso fuori le mura. Tutto questo significativamente a furor di popolo. Il popolo è come il mare, è calmo e piatto, si agita e ingoia. In mezzo non vi è solo l’acqua, ma l’acqua nasconde mille cose all’interno di esso.
L’odio e l’invidia (questa testualmente citata dagli evangelisti) si fondono e creano una alleanza malefica tra uno dei suoi e chi lo deve incastrare. È ricercato e viene tradito e venduto. Per non mancare di ridicolo e oltraggioso, lo strumento è un bacio, ciò che in affetto è il più intimo dei saluti. Gli stessi apostoli non volevano che si facesse baciare i piedi dalla donna che lo lavó, perché si scandalizzavano, ma lui accettò perché il bacio dello scandalo lui lo aspettava dopo, quello dell’odio, quello al buio tra i rami. È la
Settimana che, sebbene reiterata tutti gli anni, sebbene la chiesa soffra di nuove tormente, tiene tutti incollati al banco, perché tutti ci sentiamo dall’altra parte; sembrano dividersi le luci e le ombre: lui sofferente ma circonfuso di luce e noi tutto insieme mescolati, bene e male, davanti a guardare, attoniti o colpevoli, comunque inutili alla causa.
Così ci vediamo imbarazzati con in mano una palma per festeggiarlo e dentro certi che non faremo nulla nè per lui ora, come mai, perché se c’è un passato, un presente e un futuro in verità siamo solo in prima fila, ma il protagonista è solo. Il suo però non è un monologo, parla per il Padre e lo Spirito e ha tempo di proporre la
Salvezza al perduto anche sul legno chiodato.
La crocifissione è preceduta dalla satira, quell’aceto dell’uomo che lo fa divenire teatrino di se stesso anche davanti alle tragedie. Prima di buttarlo sul patibolo, vestirlo da re. L’uomo non accetta la sola sentenza, vuole che sia motivata, anche quando è ingiusta e poi il condannato “deve soffrire” perché la morte non è sufficiente a riempire il mio vuoto, l’unico aspetto infinito che abbiamo quando l’amore non ci inabita. Vuoto e buio se la giocano come una lampadina che lampeggia perché sta terminando le risorse, nonostante vi sia ancora energia. Il Cristo però, senza parlare, ha il potere di far paura al male in sé, mentre agiamo contro il bene, lo motiviamo e lo teatralizziamo, rimane un problema: lui sta male nel corpo, ma noi tremiamo nell’animo senza dirlo, per paura che sia vero che abbiamo sbagliato tutto e tutti.
Così lui è processato, ma perché siamo noi a sentirci in colpa? Perché la coscienza è un tribunale che batte il martello dentro ognuno di noi e non la si può spegnere , nè di notte, nè di giorno. Se anche non la volessimo lei è lì, se anche godessimo di una vita agiata e spensierata, gli ultimi giorni, abbassate le difese immunitarie del super uomo, si sveglia e bussa incessantemente e chiede conto prima di chiudere gli occhi. Mentre invecchiamo, sentiamo scendere le lacrime di fronte al bene, perché sappiamo che avremmo potuto farlo e ogni cosa ci commuove, perché c’era anche prima, ma ora sappiamo che dobbiamo lasciarla, perché abbiamo capito che il tempo scorre e che questa “Pasqua”, questo passaggio sulla terra è veramente un battito di ciglia, talvolta queste ciglia non fanno in tempo neanche ad aprirsi o chiudersi, semplicemente neanche hanno mai battuto.
E così, dopo questo ingresso nella città della Pace, rimarremo storditi finché, cercando di raccogliere le forze, cercheremo di trascinarci al sepolcro della vita per cercarlo il giorno di Pasqua e chiedere a lui cosa possiamo fare per uscire dall’anfiteatro dello spettacolo suadente del male che ci ha lasciato di pietra. Il furore è passato e noi siamo rimasti esausti e chiediamo aiuto a chi abbiamo cacciato da Gerusalemme perché non ne era degno, sebbene quella città gli appartenesse a pieno e sovrano titolo.

Don Antonio Tamponi

By G&A

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