La questione del lavoro resta centrale per la Sardegna, che si intreccia con altri tre fattori che rendono la situazione sociale dell’isola problematica: record di invecchiamento della popolazione, record di denatalità e pensioni più basse d’Italia.
L’isola non si discosta dalla situazione nazionale, che registra una crescita dell’occupazione e tassi di disoccupazione contenuti non tanto per effetto di una crescita economica, quanto di un’organizzazione del lavoro che tende a creare posti di lavoro precari e temporanei. L’occupazione è segnata da deboli segnali di crescita e da una ritrovata stabilità dei prezzi. È questa la luce che illumina, almeno in parte, l’orizzonte economico della Sardegna nel 2024, pur tra le ombre di settori in affanno e rallentamenti strutturali.
Secondo l’Aggiornamento congiunturale sull’economia regionale stilato dalla Banca d’Italia, nei primi sei mesi dell’anno il Pil è aumentato dello 0,4%, in linea con la media nazionale, ma il ritmo della ripresa resta debole e fortemente condizionato dall’alto numero di anziani, compresi centenari e ultracentenari, e dalle culle sempre più vuote.
Questa è l’immagine che emerge dal XXIII Rapporto dell’Inps, presentato a Cagliari il 14 gennaio 2025, nella sua tappa sarda, nell’aula Lai della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche dell’Università. Un appuntamento voluto dall’Inps per incontrare i territori, ascoltare le proposte e fare il punto sulle criticità, cercando soluzioni.
La discesa dell’inflazione allo 0,7% a settembre ha dato un poco di respiro al potere d’acquisto delle famiglie, il cui reddito nominale è cresciuto del 2,7% in termini reali. I consumi restano però stabili, segno che l’incertezza e il timore di non poter far quadrare i conti mensili frenano ancora le spese, portando le famiglie a selezionare i consumi, mentre i depositi bancari tornano a crescere (+3,3%), soprattutto nelle forme vincolate.
Altro punto dolente è l’assegno pensionistico, più basso rispetto alla media nazionale. Inoltre, le prestazioni previdenziali presentano una sostanziale differenza di genere: sul totale delle prestazioni liquidate, i maschi sono più delle femmine, con un divario che si avvicina al 20%, collocando la Sardegna su livelli più bassi a livello nazionale.
Il fattore che fortemente pesa sul mercato del lavoro sardo è l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità, che vede la popolazione sarda sbilanciata verso le classi di età più anziane.
Il mercato del lavoro sardo risulta pertanto strutturalmente debole e lontano dai risultati tanto reclamizzati a livello nazionale, ma che a un’analisi più approfondita non sono buoni. Il mercato sardo soffre per il basso tasso di occupazione e l’elevata diffusione della precarietà.
L’industria soffre, a eccezione di settori come il lattiero-caseario e la raffinazione petrolifera, mentre nell’edilizia il rallentamento degli incentivi fiscali ha ridotto la domanda privata, non compensata dai progetti del PNRR. La Sardegna è infatti l’ultima regione per la percentuale di gare aggiudicate per lavori pubblici sul totale del valore bandito nell’ambito del PNRR.
Sempre secondo i dati Istat, il tasso di occupazione fatica a raggiungere la media italiana, già indietro rispetto ai Paesi europei più competitivi. L’occupazione femminile è in crescita, mentre resta stabile quella maschile, ma non è ancora in grado di compensare le differenze di partecipazione al mercato del lavoro tra i generi.
Riprendendo i dati Inps, le nuove assunzioni confermano la prevalenza di rapporti di lavoro precari o a termine. I contratti stabili nel 2023 rappresentavano appena l’11,2% delle assunzioni totali. Anche i giovani si confermano tra i più vulnerabili: il tasso di occupazione tra i 15 e i 24 anni è appena il 18,5%, e la precarietà coinvolge 9 rapporti di lavoro su 10.
La situazione richiede un forte intervento sociale e politico per ridare centralità e dignità al lavoro, puntando su innovativi strumenti di formazione e sulla valorizzazione delle competenze.
Savino Pezzotta (ex segretario generale Cisl)