L’avvento è il tempo liturgico che sta al Natale come la Quaresima sta alla Pasqua. Sebbene questa realtà si sia sviluppata in una seconda fase all’interno del calendario liturgico, traccia per il cristiano una spiritualità dell’attesa della manifestazione del Signore. Il canto per eccellenza, Rorate caeli, traccia per noi il cammino di attesa e di speranza che vuole riprendere per l’umanità il cammino di alleanza con l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Citando San Bernardo di Chiaravalle con i suoi “sermoni per l’avvento” nel sec. XII leggiamo«E dunque nel primo avvento Gesù Cristo viene nella nostra carne e nella nostra debolezza; in quello di mezzo viene in spirito e verità, e nell’ultimo appare nella sua gloria e nella sua maestà».
Odo Casel, teologo della liturgia evidenzia che «Con ogni prima domenica di avvento noi cominciamo un nuovo anno liturgico. Il movimento circolare è ritornato al suo punto di partenza, riprende da capo. Forse che ciò ha soltanto un significato pedagogico? La ripetizione è, secondo l’antico proverbio, la madre di ogni sapere(…) Noi dobbiamo sempre, finché Dio ci dà vita, rinnovare le stesse celebrazioni, allo scopo di attingere il profondo contenuto della non liturgico e farlo nostro, quello che abbiamo forse tralasciato nell’anno precedente, possiamo e dobbiamo ricercarlo ora, riempiendo le lacune. E anche se eventualmente avessimo seguito tutto senza lacune, noi dovremmo approfondire ciò che abbiamo vissuto e ciò che abbiamo conseguito» (Odo CASEL, Il mistero del culto cristiano, pag. 108).
Senza alcuna pretesa direi quindi che l’indole intrinseca della spiritualità dell’Avvento è l’attesa, di questo già e non ancora rivelato in Cristo Gesù che viene incontro a noi “in ogni uomo e in ogni tempo” per aprire il nostro cuore al mistero della sua incarnazione. La liturgia in questo tempo ci prende per mano indicandoci due protagonisti: Giovanni il Battista e la Madre di Dio. L’uno che si pone come voce di uno che grida nel deserto e ci chiede di preparare le strade, l’altra -preservata dal peccato originale- è libera per poter dire a Dio il suo “eccomi” incondizionato che la porta a concepire il Verbo prima nel cuore e poi nel grembo verginale (così ci dice Bernardo di Chiaravalle).
La liturgia ambrosiana che ha sei domeniche di avvento, contro le nostre quattro, nella seconda feria prenatalizia (che corrisponde alle nostre ferie maggiori) prega: «Concedi, o Dio onnipotente, che il nostro cuore devoto celebri con frutti di grazia il Natale di Cristo che sta per venire; serbaci alla scuola delle celesti cose e nella tristezza dei tempi presenti donaci un po’ di gioia».
Cosa poter dire dunque del tempo di Avvento nella liturgia? Possiamo farci aiutare dalle premesse del Messale romano, libro che regola la celebrazione del rito romano: «Il tempo di Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si commemora la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente e il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Il tempo di Avvento comincia dai Primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o e la più vicina a questa data, e termina prima dei Primi Vespri di Natale. (…) Le ferie dal 17 al 24 dicembre sono ordinate a una più diretta preparazione al Natale del Signore» (Precisazioni CEI ai PNMR 39-42).
Una parola sulle ferie maggiori. L’acrostico ERO CRAS, letteralmente «Verrò domani» si forma dalle sette iniziali con cui invochiamo il Messia nel canto al Vangelo e nell’antifona al Magnificat di quest’ultimo scorcio di avvento (poi a partire dal sec. XVIII entrate nella popolare novena di Natale). Dette antifonesonoautentici capolavori di poesia e di musica gregoriana, chiamate Antifone “O” dall’incipit iniziale. Esse ci fanno contemplare e invocare, con i titoli messianici tramandati dalle profezie, Colui che deve venire. Emmanuel, Rex gentium, Oriens, Clavis David, RadixIesse, Adonai, Sapientia. Sono i titoli che ci rimandano alla fine della Scrittura, Maranathà, promessa e certezza che rassicura e incoraggia la nostra attesa trepidante.
L’avvento dunque, con una sua spiritualità dell’attesa trepidante della manifestazione del Signore ha la sua caratteristica di tempo austero in cui la preghiera e la vigilanza aprono il nostro cuore alla novità del Natale. E così facendo, apriremo gli occhi al prodigio della grazia ed impareremo che per l’uomo e per il mondo non vi può essere gioia più luminosa di quella della grazia apparsa in Cristo. Il mondo non è un congegno di fatica e di sofferenza, vuoto di speranza, ma ogni sua pena è al sicuro, in un’amorosa pietà, è captata e superata dalla clemenza misericordiosa e salvatrice del nostro Dio.«Chi celebra così l’avvento, potrà con diritto parlare del lieto e santo tempo di natale, portatore di grazia. Ed egli si accorgerà della verità di quest’espressione più di quanto possono credere e sospettare coloro per i quali il Natale è solamente un sentimento romantico o, addirittura, una specie di divertimento carnevalesco ridotto» (J. RATZINGER, Dogma e predicazione, 1974).
Se siete arrivati fino a questo punto della lettura vi auguro una vigilante e trepidante attesa del Messia e una autentica celebrazione della sua nascita.
Don Efisio Coni