Ogni anno, quando si avvicina il Natale, il presepe diventa oggetto di dibattito. Farlo o no nelle scuole? E se sì, perché? L’articolo di Michele Cassese pubblicato oggi su Avvenire dal titolo Albero o presepe? Meglio tutti e due, affronta la questione con un approccio che evita polarizzazioni. Non si schiera né con chi vorrebbe imporlo per legge né con chi ne auspica l’eliminazione per preservare una presunta neutralità. Cassese pone una domanda più profonda: che valore ha, oggi, fare il presepe?
Il presepe non è solo un simbolo religioso, ma un frammento di storia, un’eredità culturale che appartiene a tutti, credenti e non credenti. È parte di quel filo che lega le radici greco-latine della cultura italiana, dove il sacro non è mai stato separato dalla vita quotidiana. In un mondo sempre più multiculturale e multireligioso, il presepe può ancora avere senso se diventa occasione di dialogo e non di scontro.
Secondo Cassese, non dovrebbe essere un’imposizione né un simbolo divisivo, ma uno strumento per educare al rispetto e alla conoscenza reciproca. “Non è banale – per lo storico – chiedersi che valore abbia il presepe o festeggiare pubblicamente la pasqua, la fine del Ramadan, la ricorrenza del purim o il capodanno cinese”.
Il ragionamento tocca il nodo centrale del rapporto tra laicità e identità. La laicità non è la negazione del sacro, ma la possibilità di esprimere liberamente ciò che si è, nel rispetto dell’altro. È un principio fondante della Costituzione italiana, che tutela la libertà religiosa e invita alla convivenza delle differenze. Tuttavia, viene spesso frainteso e utilizzato per giustificare la cancellazione di ogni riferimento religioso dallo spazio pubblico. Cassese propone una prospettiva diversa: includere le tradizioni non significa negarle, ma valorizzarle attraverso il confronto.
Il presepe, e più in generale le tradizioni religiose, possono essere una risorsa per educare i ragazzi alla conoscenza reciproca. Non si tratta solo di preservare un simbolo del passato, ma di trasmettere valori universali come la speranza, la famiglia, la comunità.
Per i cattolici, il dialogo è una chiamata sancita dal Concilio Vaticano II e rilanciata da papa Francesco, ma l’invito non è esclusivo. È un appello che riguarda tutti: vivere le differenze non come un ostacolo, ma come un’opportunità per crescere insieme.
Il presepe, dunque, può diventare il punto di partenza per una riflessione più ampia sul valore delle tradizioni e sull’importanza del dialogo in una società complessa. È una sfida che richiede impegno, ma che può trasformarsi in un’opportunità straordinaria per costruire una scuola e, di conseguenza, una società più inclusiva e consapevole.
Bruna Arboris