Il cammino cristiano di accettazione della propria vita, così come si è, sic et simpliciter, confligge clamorosamente col “politicamente corretto” di oggi. Quello che anticamente in letteratura era confusione (o contaminatio) e in linguaggio religioso sincretismo, è oggi il pensiero portante. Quindi la Chiesa è contraria all’inclusione e alla ricerca della condizione di pace che ogni persona creata e messa sulla terra debba soffrire?
E’ esattamente questo il contendere, la follia. C’è differenza di metodo e sostanza antropologica, non differenza nell’accogliere. La persona umana per la rivelazione è cosa “molto” buona e il motivo stesso dell’incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, perchè nessuno vada perduto. Nessuna persona è considerata da buttarsi. Non stupisce infatti che Carla Bruni Tedeschi, infatti, in un’intervista, abbia rigettato di dirsi favorevole a tacere quello che tutti sanno, che è figlia di un adulterio, dicendo giustamente: “ma quando mai, se parlo di questo, il peccato sarei io?”. Ecco, la ex prima donna di Francia, dice giusto; se mia madre ha commesso un tradimento, mica io sono un frutto marcio. Ora, naturalmente a noi non interessa la persona della Signora Bruni in sè, ma il fatto che abbia una ragione stringente, lei non ha affatto colpa di nulla. Ora, il mondo di oggi, banale e con guide dozzinali, avrebbe pensato, come si fece durante il fascio con la revisione forzata delle parole da usarsi nel linguaggio pubblico, cancelliamo la parola adulterio e la Bruni è salva e così con lei tutti i figli che hanno sofferto, mentre erano piccoli, dal tradimento parentale perchè li ha danneggiati, per esempio, psicologicamente. Molto più efficacemente, la Bruni ha risolto il problema rielaborandolo, crescendoci dentro: “io cosa c’entro con l’adulterio di mia mamma”.
Ecco, già questo è un passo avanti, ma insufficiente per spiegare, perchè, in ogni caso, l’adulterio della fattispecie non la riguarda in prima persona, ma come effetto. Ora cosa dice la Chiesa invece, in chi è segnato da sofferenze personali che porta intrinsecamente con sé dalla nascita, geneticamente, incidentalmente, per necessità? Ma molto prima di questo, la domanda è cosa dice Gesù.
Un famoso filosofo greco diceva che Polemos (la guerra e la polemica, potremmo aggiungere) è padre di tutte le cose. Ma quando mai il percorso bellico delle contrapposizioni ideologiche ha portato frutti? Sempre nella tragedia greca, Polemos ha figlio Alalà, il grido di guerra. Non è gridando che si risolvono le persone interiormente. Oggi con la veemenza si fa audience, è vero, ma non si è mai visto nessuno uscirne rasserenato.
Tornando al Cristo, sulle persone dice molto poco, sulle persone che si trovano nella condizione di essere discriminate, certamente non cambia loro il nome della circostanza, poichè la persona non è la circostanza: da “adultera in flagrante adulterio” a “ragazza dalle mille doti”, avrebbe risolto il problema nominalisticamente? No, egli si frappone tra le pietre, fa da scudo col corpo e dice: se c’è qualcuno di voi che non ha debolezze, fragilità, situazioni esistenziali di sofferenza e da rielaborare, si permetta di tirare una pietra. E andarono tutti via, a partire dai più anziani, cioè da parte di coloro che, con molta “esperienza”, avevano fatto della malizia gli occhiali per giudicare gli altri.
Tutto questo, gli studiosi della psicoterapia psicodinamica, lo ereditano dalla storia e lo fanno proprio profondamente quando, in età contemporanea, scoprono l’inconscio, la cassaforte dove si annidano le esperienze o il sentito taciuto, sia di origine genetica o esperienziale, chi può dirlo? Una scatola nera del volo della persona viva, che registra ogni sensazione, ogni successo, ogni inadeguatezza, ogni luce, ogni ombra. L’inconscio è il luogo dove si concettualizza l’esistenza e andrebbe portato non all’oblio, la rimozione, che come un sughero può tornare a galla dandoci grandi problemi, ma all’autoriflessione pacificata e consapevole. Mi chiedo chi sono serenamente, anche se non ho voluto essere io così, anche se fossero gli altri o la natura, ma non aprendo una battaglia che è solo un dispendio delle nostre poche energie, piuttosto ascoltandomi e accettando la mia unicità, con slanci e fatiche, come avviene pure per il corpo: oggi corre, domani è stanco. E’ un fatto, non una pena inflitta per decorticarsi. Affrontare moralisticamente o eticamente la persona, cioè per i fenomeni o non per il suo essere, è la strada più facile, ma non quella atta a conoscerla, piuttosto a catalogarla, stigmatizzarla. E’ molto più semplice etichettare o togliere un’etichetta, piuttosto che liberarsi definitivamente dell’etichetta che è sugli abiti, non sulle persone. La persona, in se stessa nuda, come dice Genesi, è lei che si sta mettendo un abito (Dio non lo aveva confezionato) e poi c’è subito chi è pronto ad attaccare un prezzo anche su una foglia di fico.
La persona, ogni persona non ha una valutazione di tipo economico, vantaggi o svantaggi, perchè possa continuare ad esistere, la persona, se le concedono di venire al mondo e di morire serenamente è sempre un dono, una parte lo deve scoprire la stessa, l’altra parte sta nell’accoglienza della comunità umana. Anche se oggi si innesta tutto per migliorare i frutti della natura e si gonfiano i polli per apparire sani. Così, invece di dire cancro (dichiarava Oriana Fallaci del suo, che voleva fosse chiamato cancro), diciamo “un male incurabile”, ma a chi ne è colpito ed è invalido al cento per cento, diamo trecento euro di pensione. Non è il cancro allora ad essere incurabile solamente, ma anche la nostra velenosa sfacciataggine che cambia le parole, ma non si fa carico realmente degli altri.
Oggi, accendiamo la televisione e dovrebbe essere politicamente corretta, perchè non siamo più persone, ma divisi per categorie protette, che nessuno protegge, e incalzantemente l’intervistatore, sdoganato, fa domande intime e si inalbera se non rispondi sui rapporti intimi. E’ questo accettare (con l’accetta) le persone, esporle strappando loro i vestiti, ma dicendo io ti accolgo? Ma questa è schiavitù intellettuale, puoi essere quello che vuoi, ma me lo devi dire apertamente, se vuoi far parte del giusto, altrimenti sei falso, perchè non ti lasci violentare dalle domande dei nuovi terapeuti sociali. Se rispondi davanti a milioni di persone e ti posso portare sul carro degli smascherati, sei onesto e risolto!
Affatto, la persona è aggredita e devastata dandogli il miele della cittadinanza e la cicuta per morire subito dopo l’espoliazione avvenuta con parole fendenti. Poi da lì, difenditi da solo dalla pubblica, implacabile, divisiva opinione. Dall’intervista al Bullismo è un passo di un’ora, per rilanciare te-notizia. Il politicamente corretto è la scorciatoia, ma chi lo percorre sa che è un vicolo chiuso (speriamo), un sedativo che sembra una caramella balsamica. Possiamo cambiare, come nuovi accademici senza glutine, perchè non possiamo dirci neanche di crusca, tutte le parole che riguardano la famiglia, la donna, l’uomo, i ruoli sociali, mettere asterischi e fiorellini ovunque, ma è una coperta corta di cui la persona umana si accorgerà, perchè la stiamo usando per mostrarci buoni, ma nel profondo di tutti i giorni, non c’è accoglienza e tutela amorevole e presa in carico della vita reale. Non dobbiamo essere buoni a ridire i fatti, ma ad accogliere persone reali con fatti reali, che non condizionano la nostra accoglienza incondizionata. E’ del cristiano andare anche a trovare il carcerato, ormai parole al vento.
Ma come dice la Signora Coriandoli, alla morte di ogni marito di una sua immaginaria amica, tutto è bene quel che finisce bene. La favola era da comprendere e spiegare, non da riscrivere trasformandola in una tragedia. Questo sipario ha ancora le tende rotte, si vede anche dietro, non solo la rappresentazione e molte luci, dietro le quinte, ci sono troppe luci spente, ma occhi di bue accesi, vedute parziali, tac che sembrano cure, ma sono esporre al ridicolo l’interiorità e, dopo la sigla del Podcast, sei solo\a. Sarà il caso di riattaccare la spina per vederci e camminare serenamente con le gambe che si anno, non inquadrando solo il volto, per non mostrare la fatica dell’essere umano che ha anche diritto di zoppicare, senza dirgli che è un modo di essere, ma una zoppia alla quale tendi amicizia, vicinanza, non dirgli stai tranquillo non si nota. Un signore, in una testimonianza, dove gli è stato detto non vedente, ha risposto che era proprio cieco e bisognoso di un braccio, non rispettosamente non vedente.
Un tempo fare la storia significava conquistare un passo avanti, oggi fare “una” storia significa rigurgitare su un social qualsiasi pensiero transeunte che ha per fondamento egocentrico solo ciò che uno dice, chissà se anche lo pensa o ha mai pensato qualcosa. Dopo anche il famoso Leone, spegne il telefono e dopo mesi, dichiara, che era assente, perché anch’egli si era depresso. Dalle parole, a dare la propria parola per tendere la mano ad un altro, basta poco. Tonino Bello diceva che l’uomo è un angelo ad un’ala, per volare, ognuno di noi, ha bisogno di abbracciare un altro, non di ridefinirlo e lasciarlo ugualmente a terra.
Romeo Silva