Una fake news è una notizia falsa, secondo Marc Bloch volutamente o involontariamente, ma non incolpevolmente, perché abbiamo una predisposizione carsica ad accogliere gli eventi e farli appoggiare su ciò che, in silenzio, già volevamo che almeno ne desse occasione (per parafrasarlo). Le notizie false sono state catalogate nell’“Information Disorder”, dall’ingannevole al satirico, ma ad uso di propaganda di chi la diffonde; naturalmente, più il mittente è autorevole, più avrà presa; altre saranno più insussistenti. Ma dipende anche dal destinatario: quanto è in grado, funzionale, di distinguere le fonti e dar loro credito?
Queste, in grandissima sintesi, sono le fake, ma esistono anche le brutte notizie. In psicologia, per esempio, il doomscrolling è il cercare patologicamente, attraverso lo schermo, nei più svariati luoghi, le cattive notizie; questa iniziativa psicotica ha lo scopo, per il soggetto, di conoscerla il prima possibile per poterla gestire e tamponare. Chiaramente è inutile, ma è un modo di gestione dell’ansia, che in realtà aumenta. Questo, peraltro, resta nell’algoritmo delle nostre ricerche: dunque, più apriamo internet e maggiormente ci appariranno pessime notizie, aumentando l’ingestibile senso di angoscia.
Riguardo alle cattive notizie a mezzo Mass Media, siamo in un vero “information overload” (surplus informativo). Una definizione, quest’ultima, creata negli anni Sessanta dal sociologo statunitense Bertram Gross (1912-1997); ha scritto nel suo libro The managing of organizations: the administrative struggle (1964): «Il sovraccarico di informazioni si verifica quando la quantità di input in un sistema supera la sua capacità di elaborazione». Ecco perché, oggi, si parla di disconnessione, soprattutto nel mondo giovanile. Detto in soldoni, non ci vogliono sentire e né tanto meno ascoltare, perché siamo portatori di cortocircuiti cognitivi e ansiogeni.
Le uniche “buone” notizie riguardano banalità: gossip di fidanzamenti o rotture di rapporti tra personaggi VIP o ritenuti tali, del mondo reale o dei format dozzinali televisivi. Quelle che la stessa televisione chiama “Trash” — cioè, le poche buone notizie — i produttori stessi le definiscono “spazzatura”.
Sopra questa collina tossica di rifiuti, dobbiamo portare la Buona Notizia dell’Incarnazione, ovvero il Natale, in cui la credibilità di Cristo risiede nel suo prendere corpo e, quindi, umanizzarci. Il discorso, dirà Giovanni, se lo avessimo ascoltato in duemila anni, non ci lascerebbe più confusi perché si è fatto carne. Il discorso, non i discorsi, perché abbiamo bisogno di una parola data e mantenuta, non di parole.
E quei giovani, che spesso trattiamo da stupidi, furono criticati anche da grandi autori italiani e stranieri (che non cito perché sono miti per alcuni). Non sono stupidi, ma preferiscono non continuare il nostro discorso; se non cambiamo approccio, ne faranno uno per conto loro, poiché non siamo credibili su nessun fronte.
Allora, spero si faccia spazio la Buona Notizia, anche se i “narratori” hanno cercato di venderla come fake, rimanendo con la marmellata in mano; avranno sì convinto molti a non crederci più, ma non hanno convinto nessuno a credere in loro. È un’operazione a tenaglia che ha morso la sensibilità delle persone, ma anche pizzicato le dita di chi la stringeva.
Adesso dobbiamo fare un’inversione: le bugie hanno le gambe lunghe, ma la speranza può mettere anche i trampoli, perché è nei sogni di Giuseppe. Nulla è impossibile!
Don Antonio Tamponi