Alessandro Suelzu, 28 anni, originario di Olbia, si prepara a vivere un momento fondamentale del suo cammino di fede: il prossimo 21 dicembre, nella Cattedrale di Tempio Pausania, sarà ordinato diacono per imposizione delle mani del vescovo Roberto Fornaciari. In questa intervista, Alessandro racconta la sua vocazione, il percorso formativo e le sfide affrontate, condividendo le emozioni e la gratitudine che accompagnano questo importante momento.
Quando hai capito che Gesù ti stava chiamando? È stato un momento preciso o un processo graduale?
Gli Atti degli Apostoli, al capitolo cinque, riportano il discorso di Gamaliele, fariseo e dottore della Legge, maestro di Saulo, poi Paolo, il quale, parlando al Sinedrio circa il comportamento da adottare verso quel gruppetto che andava dicendo in giro che Gesù di Nazareth era risorto ed era il Messia tanto atteso, suggeriva di non fare altro che aspettare perché le cose che provengono da Dio rimangono nel tempo, mentre quelle che invece provengono dall’uomo sono destinate a concludersi. Questo ragionamento ha accompagnato il mio percorso, soprattutto nell’ultimo periodo. Da piccolo ho intuito di sentirmi chiamato a qualcosa di grande, di più grande di me, e questa intuizione è stata corroborata negli anni da incontri, prove e conferme. San Giovanni Paolo ii parla del sacerdozio come dono e mistero, e queste due realtà le avverto davvero presenti nella mia vita da sempre: in questi anni di formazione ho davvero avvertito la presenza di Cristo che camminava con me e anche nei momenti più difficili la Croce era lì a ricordarmi che l’amore è l’unica realtà che moltiplica dividendo.
A chi hai confidato per primo la tua vocazione?
Pensando all’origine della mia vocazione non posso che pensare e ringraziare il Signore, in primo luogo, per il dono della mia famiglia, di mio padre Lino, di mia mamma Loredana e di mio fratello Michele, che non hanno mai ostacolato il mio desiderio, e ne sarò eternamente grato. Ritengo che un importante contributo l’abbia portato la mia nonna paterna con la sua fede semplice. A loro si aggiunge la comunità di origine, san Paolo Apostolo in Olbia, dove ho conosciuto il Signore nel catechismo (il Battesimo l’ho ricevuto nella parrocchia Santissima Trinità in Trinità d’Agultu, paese d’origine di mio padre) e il servizio all’altare con l’allora parroco don Nino Fresi.
A tutti loro ho affidato e confidato il nascente desiderio di diventare prete e sempre mi hanno accompagnato in questi anni con simpatia, affetto e, soprattutto, con la preghiera.
Come ti sei preparato in questi anni per il ministero?
Risponderò in ordine cronologico: gli anni dal 2011 al 2017 sono stati quelli della formazione iniziale e del primo discernimento, guidati dal rettore del Seminario minore, don Paolo Pala, e dal parroco don Gianni Satta che ringrazio per il cammino fatto insieme. Sono stati gli anni delle superiori, delle amicizie e delle prime sfide relazionali. Dal 2017 al 2023 la mia formazione è continuata nel Pontificio Seminario Regionale Sardo a Cagliari, dove ho avuto modo di approfondire il contenuto della fede presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna (percorso concluso il 14 luglio 2022 con il baccellierato) retta dalla Compagnia di Gesù. Ringrazio le equipe formative che si sono succedute: per i primi quattro anni il rettore don Antonio Mura e gli animatori don Carlo Devoto, don Andrea Secci, don Carlo Rotondo e l’attuale rettore don Riccardo Pinna, con gli animatori don Mario Cuscusa, don Paolo Carzedda e don Diego Marchioro. Sono riconoscente al Signore anche per le comunità parrocchiali dove il Regionale mi ha inviato a svolgere il servizio pastorale: Sant’Eusebio e Santissimo Crocifisso in Cagliari, e Sant’Antonio Abate in Decimomannu. Ringrazio i rispettivi parroci e le comunità per l’accoglienza.
Sono grato al Signore per i passi formativi che mi ha fatto compiere: il 10 luglio 2020, con don Cosma Caria, ordinato presbitero lo scorso 23 novembre, sono stato ammesso tra i candidati agli ordini sacri nella cappella del Seminario vescovile a Tempio Pausania. Durante l’ammissione si assiste a uno scambio di promesse: il candidato promette di impegnarsi seriamente nel cammino e la Chiesa promette di prendersi cura di lui. Nel 2021, rispettivamente l’8 maggio ed il 13 novembre, mediante il conferimento dei ministeri laicali del lettorato e dell’accolitato, sono stato messo gradualmente in contatto con la mensa della Parola e dell’Eucaristia.
Dal 2022 al 2024 il vescovo Sebastiano, confermato poi dal suo successore, il vescovo Roberto, decise di destinarmi per il tirocinio pastorale in due parrocchie della nostra diocesi, Santissima Vergine di Pompei in Viddalba e Santa Maria delle Grazie in Santa Maria Coghinas, guidate dal parroco don Davide Mela, a cui sono grato.
Ringrazio il Signore per il cammino che mi ha fatto fare e per le persone che mi ha messo accanto, sia come superiori, sia come compagni. Sono riconoscente alla comunità di origine e a tutti coloro che negli anni mi hanno accolto facendomi sentire come loro figlio.
Quali sono state le sfide più grandi durante il tuo cammino formativo?
Si racconta che sant’Agostino un giorno stava camminando sulla spiaggia meditando sulla Trinità, cercando di coglierne appieno il mistero. Ad un certo punto vide un bambino che voleva mettere tutta l’acqua del mare in una buca utilizzando una conchiglia. Quando sant’Agostino spiegò al bambino che fosse impossibile, egli si rivelò essere un angelo che gli disse che allo stesso modo lui non avrebbe mai potuto capire appieno il mistero della Trinità. Questo aneddoto rappresenta quella che sento essere la prima grande difficoltà. Questo è un pensiero che schiaccerebbe se si rimanesse legati a se stessi e alle sole forze umane, ma trova ampio respiro uscendo da se stessi e mettendo tutto nell’amore di Dio. Papa Francesco, mediante il suo motto “miserando atque eligendo”, (“guardandolo con amore, lo scelse”, riferito alla vocazione di Matteo) ci insegna che il Signore non sceglie i migliori, ma rende migliori chi sceglie.
Ci sono figure nella Chiesa, santi o persone che conosci, che consideri tuoi modelli? Perché?
Senza dubbio il modello del battezzato è il Cristo e ciascuno di noi è chiamato all’arduo compito di imitarlo. I santi non sono supereroi, bensì modelli da imitare, ma non da copiare perché ognuno di noi è chiamato a scoprire la propria strada che conduce ad unica meta: la santità. Sembra che la mia strada per la santità passi per il sacerdozio. Fra l’immensa schiera dei santi, ce ne sono alcuni attraverso i quali il Signore mi ha parlato: penso a san Giovanni Paolo ii, che con la sua storia personale mi insegna ad affidarmi totalmente a Cristo e a sua Madre; a san Giovanni xxiii, che mi ricorda l’importanza della bontà; o ancora, al beato Giovanni Paolo i, con il quale prego sempre così: “Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri”. Queste che ho citato sono solo alcune delle figure di santità che il Signore ha usato e usa per parlarmi, ma i modelli non riguardano solo i santi canonici, bensì anche quei santi “della porta accanto”, come li definisce papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, che altro non sono che tutte quelle persone che, nel nascondimento, mi hanno accompagnato con la preghiera, con la correzione fraterna e con l’affetto in tutti questi anni.
Cosa farai dopo l’ordinazione? Quali sono i tuoi progetti per servire la comunità?
La scorsa estate, a sorpresa, il vescovo padre Roberto mi ha proposto di vivere un anno speciale affiancato dai Gesuiti, presso alcune loro opere. Al momento mi trovo a Roma a prestare servizio al Centro Astalli, che dal 1981 accompagna, serve e difende i rifugiati politici offrendo loro il pranzo, la doccia e un accompagnamento sociale e legale. Alloggio presso un’altra comunità di Gesuiti, l’Istituto Massimiliano Massimo, una Scuola paritaria dove quotidianamente i giovani si interfacciano con la sfida educativa. La preparazione immediata all’ordinazione diaconale, che mi configurerà al mistero di Cristo servo, avviene nel servizio alle mense e nell’ascolto di chi viene con richieste e problematiche specifiche. Un mese dopo l’ordinazione proseguirò a Bologna dove, presso il centro Poggeschi, vivrò un’esperienza di Pastorale Giovanile e poi, dopo Pasqua, a Milano, presso la comunità di Villa Pizzone, lavorerò con delle famiglie.
L’unico progetto che sento di avere e condividere è quello di rinnovare ogni istante, davanti al Signore e ai fratelli, il mio “Eccomi” e anche il mio “INRI: Indietro Non RItorno”.
Cosa ti emoziona di più pensando al giorno dell’ordinazione?
In questi giorni il sentimento dominante è lo stupore di essere oggetto, da parte Dio, di tanto amore immeritato, al quale è legata la paura, ma mi conforta il fatto che, come disse Benedetto xvi, il Papa della mia infanzia, “il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti”. Inoltre ci sono dei momenti del Rito che il 21 dicembre p.v. avrò la grazia di vivere, che mi hanno sempre affascinato, uno su tutti la prostrazione: il candidato è prostrato a terra mentre si invoca l’intercessione dei santi. L’altro momento fondamentale sarà l’imposizione delle mani da parte del vescovo a cui seguirà la preghiera di consacrazione, che rappresentano il nucleo fondamentale dell’ordinazione diaconale, che si concluderà con la consegna del libro dei Vangeli e l’abbraccio con il vescovo e i diaconi presenti. Inoltre è durante l’ordinazione diaconale che il candidato promette il celibato e di santificare la giornata mediante la Liturgia delle Ore.
Se potessi dare un consiglio a un giovane che sente la chiamata, cosa gli diresti?
Suggerirei due atteggiamenti: fiducia ed affidamento. Penso sia necessario imparare innanzitutto a fidarsi della propria coscienza, primo luogo di incontro con il Signore, poi affidarsi alla Chiesa, al suo discernimento e ai suoi tempi.
Infine, sento di poter dire che “vocazione” significa capire a chi dire “ti amo”: quando si scopre di doverlo dire a Dio, lo si dice a tutte le realtà che Egli mette davanti, perché si è trovato Qualcuno a cui vale la pena dire di sì.