Sabato 23 durante il terzo incontro del percorso di introduzione ai problemi della bioetica “Il servizio alla vita- le sfide attuali alla luce della proposta cristiana”, tenuto nei locali della parrocchia di Sant’Ignazio ad Olbia, sono stati affrontati i temi sempre più attuali relativi alle procedure di procreazione medicalizzata.
Anche in questo caso l’argomento è stato affrontato da un punto di vista scientifico, da quello ancora in evoluzione della giurisprudenza e da quello dell’insegnamento della Chiesa, contestualizzandolo però nel contesto sociologico attuale. Ci troviamo infatti in una situazione molto grave di contrazione della natalità: se consideriamo come indice di fertilità di una popolazione il numero di nati per donna in età fertile, la Sardegna in particolare si trova a livello della Corea del Sud, con un tasso di natalità di 0,98, tra i più bassi del mondo. Un tasso inferiore ad 1 indica che una popolazione è al di sotto del tasso di sostituzione (più decessi che nati) ed è destinata diminuire nel tempo: in Sardegna negli ultimi anni si è registrata una diminuzione del numero degli abitanti che ha portato la popolazione al di sotto del milione e 500mila. Le cause sono molteplici, ma tra queste spicca la posticipazione dell’età in cui si nasce del primo figlio che nel 1995 era tra i 25 e 34 anni e nel 2010 era tra 31 e 38 anni: questo si coniuga con l’andamento della fertilità femminile, che diminuisce con l’aumento dell’eta. Infatti tra i 30 e 35 anni cala al 50%, tra 36 e 39 anni a 20% e dopo i 40 anni al 6%. Questo fenomeno è legato anche al fatto che si tende a ricercare una gravidanza quando si raggiunge una situazione lavorativa ed economica stabile, diventando anche un segnale di malessere sociale o di scarsa fiducia nel futuro .
Sembra perciò strano che la Chiesa ponga dei veti a molte delle metodiche attuali che, con interventi sempre più complessi, cercano di contrastare (o curare) l’infertilità o la sterilità delle coppie alla ricerca di un figlio. D’altra parte lo sviluppo di modelli famigliari diversi da quelli tradizionali (ad coppie omossessuali maschili o femminili) e la richiesta di vivere una genitorialità anche in quegli ambiti, spinge alla diffusione delle metodiche di procreazione artificiale anche in questi contesti, forzando quella che è la normale “fisiologia” della riproduzione. Anche se ricorrono più spesso alla procreazione medicalizzata coppie stabili alla ricerca della gravidanza piuttosto che coppie omosessuali o famiglie non tradizionali, anche se questi casi fanno più clamore.
Le metodiche utilizzate sono riassunte nella tabella seguente:
Durante l’incontro sono stati approfonditi tutti i metodi e le problematiche mediche e legali collegate: si è approfondito in particolare, visto le novità anche legislative sull’argomento (è stata dichiarata dalla legge italiana “delitto universale”) la maternità surrogata e le gravi problematiche connesse.
Il metodo attualmente più utilizzato è la FIVET (Fecondazione in vitro con embriotrasfer), che prevede una serie di procedure sulla coppia ma specialmente sulla donna (ad es. iperstimolazione ormonale) e che si realizza con la “produzione” in vitro di più embrioni per aumentare la probabilità di una gravidanza, embrioni in sovrannumero che spesso vanno persi.
La Relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge n.40/2004 relativa al 2020,
presentata il 18.10.2022, metteva in evidenza “il grande scarto tra il numero di embrioni prodotti da ovociti a fresco e scongelati (totale 137.064) rispetto al numero di embrioni dichiarati trasferibili (74.871 pari al 54,2%) e a quelli che sono stati effettivamente trasferiti in utero (il 22,65% degli embrioni prodotti)”. Questo significa che c’è una enorme perdita di embrioni prodotti e scartati o non utilizzati, a cui si devono aggiungere quelli che non riescono ad impiantarsi e non si sviluppano: la media delle gravidanze ottenute da FOVET è, dopo 4 tentativi, intorno al 64%. Continua la relazione. “Sempre più critico e drammatico è il crescente numero di embrioni crioconservati (Cioè congelati e conservati nei frigoriferi-ndr). Dal 2005 al 2020 è stato posto nei freezer un numero di embrioni percentualmente sempre maggiore…tanto da portare il totale degli embrioni “ufficialmente” ancora crioconservati al numero di 140.683! Per la eterologa, poi, non vengono mai riportati gli embrioni che residuano dopo scongelamento e di quelli prodotti non trasferiti in utero, per cui nel 2020 rimangono 20.587 embrioni di cui non si conosce il destino.”
Dal momento che per la Chiesa cattolica ogni embrione umano è un essere umano a tutti gli effetti, questi dati spiegano il no deciso della Chiesa alla FIVET: Dal 2004 al 2020 il 92,75% (1.852.492) degli embrioni prodotti sono stati sacrificati per far nascere 144.786 bambini (1 bambino nato vivo ogni 12,8 embrioni prodotti e persi).
La Chiesa Cattolica è contraria anche alla fecondazione eterologa in quanto in qualche modo rompe con un elemento esterno l’unità della coppia, che è una realtà complessa ed unica di unione di persone (due in una sola carne) voluta da Dio con una vocazione particolare.
La Chiesa invece incoraggia tutte le procedure che non si sostituiscono al processo naturale, ma che intervengono per aiutarlo. In questo senso negli ultimi anni sta arrivando anche da noi la cosiddetta Napro tecnolgy (Natural procreative tecnology) che, a partire dagli studi di alcuni ricercatori canadesi e statunitensi, ha potenziato e migliorato tutte le procedure ed i protocolli noti per la cura della sterilità, ottenendo dei risultati sovrapponibili (tra i 60-65% di successi) a quelli della FIVET. NAPRO che in Italia sta iniziando a prendere piede nelle istituzioni Cattoliche ( ad es, Policlinico Gemelli dell’Università Cattolica).
La Chiesa Cattolica in ogni caso sostiene i diritti dei bambini nati da qualunque procedura artificiale: la vita è sempre un dono inestimabile di Dio e tutte le sue creatura godono della stessa dignità perché tutte ugualmente amate e chiamate alla vita. E’ necessario perciò studiare percorsi di accoglienza ed inserimento nelle nostre comunità.
La mattinata si è conclusa con una riflessione sul ruolo educativo che noi cattolici dobbiamo svolgere perché ci sia una “cultura della vita” che, basandosi sulla verità (i dati e le acquisizioni scientifiche) si realizzi nella giustizia (rispetto di tutti gli individui coinvolti nella procreazione senza discriminazioni) e nella libertà e nella responsabilità.
Aderire alla cultura della vita è il compito dei credenti, ribadito più volte dai Papi succedutisi negli ultimi 50 anni, che presuppone la necessità di conoscere, di riflettere, di trovare i gusti modi per portare un messaggio di speranza e di gioia. Problematiche difficili, compito non facile, ma non possiamo rinunciare ad annunciare la nostra fiducia e la nostra speranza ed impegnarci in maniera anche concreta per favorire una cultura della vita.
AVVISO. Il prossimo incontro del percorso di formazione non si terrà sabato 30 ma è stato posticipato a sabato 7 dicembre, sempre tra le 10 e 12.
Dott. Franco Pala