A undici anni dal tragico passaggio del ciclone Cleopatra, che il 18 novembre 2013 sconvolse la Sardegna e segnò profondamente la comunità di Olbia, don Gianni Sini, vicario foraneo, ha pronunciato un’accorata omelia per commemorare le vittime. Parlando a nome del vescovo mons. Roberto Fornaciari, impossibilitato a partecipare, don Gianni ha ricordato con emozione i nomi delle persone che persero la vita quel giorno, sottolineando l’importanza di mantenere viva la memoria e di agire con responsabilità.
Davanti alle autorità civili, militari e religiose, e a una comunità ancora segnata da quel dramma, don Gianni ha rivolto un appello forte e chiaro: non basta ricordare, è necessario impegnarsi concretamente per rispettare la natura e mantenere le promesse fatte, perché “non vi lasceremo soli” non deve rimanere solo uno slogan.
Un deferente saluto alle autorità presenti a nome del vescovo Mons. Fornaciari il quale non può essere presente per impegni in agenda già assunti da tempo e improrogabili. Saluto il sindaco di Olbia dr. Settimo Nizzi, il prefetto dottoressa La Fauci, il signor questore Filiberto Mastropasqua, il comandante dei carabinieri di Sassari colonnello Pricchiazzi. Non può essere presente il comandante della Brigata Sassari, il generale Messina, per questo ha delegato il colonnello Di Pinto. E’ presente il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tempio Pausania Gregorio Capasso, le rappresentanze delle Forze dell’Ordine di Olbia: Polizia, Carabinieri, Polizia Locale, Guardia di finanza, Direzione Marittima. Saluto le autorità politiche, il vice presidente della Regione Giuseppe Meloni, i consiglieri regionali del territorio, le associazioni di Protezione Civile, gli Assessori e i Consiglieri comunali di Olbia, i rappresentanti della provincia Rino Piccinnu e Gian Piero Scanu, i familiari delle vittime, i confratelli sacerdoti e la cittadinanza che non è voluta mancare a questo momento comunitario. Perché non venga meno la memoria di coloro che ci hanno lasciato tragicamente, li voglio ricordare uno per uno:
Patrizia Corona,42 anni insieme alla figlioletta Morgana Giagoni di soli 2 anni; Francesco Mazzoccu,37 anni, e suo figlio Enrico, di 3 anni; Anna Ragnedda,83 anni, e Maria Massa,88 anni; Bruno Fiore,69 anni, sua moglie Sebastiana Brundu, di 61 anni, e la consuocera Maria Loriga, di 54 anni, sono morti in seguito al crollo di un terrapieno in località Monte Pino.
“Siamo qui riuniti per ribadire la nostra forza, il nostro coraggio, per non perderci d’animo, per non perdere il senso e la bellezza della nostra vita, per continuare ad andare avanti senza dimenticare l’insegnamento di questa tragica lezione. Siamo così smarriti che non sappiamo con cosa, con chi prendercela. Ci sono più domande che risposte: avremmo potuto fare qualcosa? Avremmo potuto evitare questi accadimenti, e conseguenze? Per molte persone queste domande restano sempre risposte, e anch’io mi chiedo: ‘Non potevo intervenire, non potevo fare qualcosa?’, ma anche questa domanda resta avvolta nel mistero”. Certo, se guardiamo come altri Paesi affrontano questi fatti tragici certamente potevamo fare di più. Immagino che tutti voi ricordiate quando il Giappone agli inizi di marzo del 2011 fu colpito da un violento terremoto, un tratto di autostrada fu letteralmente distrutto. In appena sei giorni l’autostrada è stata riparata a tempo di record. Tutto questo nel resto del mondo apparve come un miracolo, in Giappone invece è la realtà. In soli 6 giorni gli ingegneri sono riusciti a ripristinare la rete stradale. Pensate che il manto presentava voragini profonde anche diversi metri. Dal momento che quella era una via di comunicazione nevralgica per il paese essendo situata a nord di di Tokio, era necessario riaprirla nel più breve tempo possibile. La strada di Monte Pino è ancora così dal 18 novembre 2013.Quella gente attende. Non possiamo deluderli. Avevamo promesso:
”Non vi lasceremo soli”.
Non sono qui per offrire soluzioni, ma per chiedere un impegno. Questo non è il momento né il luogo in cui facciamo analisi e troviamo colpevoli, ma a tempo e luogo debito queste analisi le dobbiamo fare per non continuare a piangere morti così. Perché è vero che c’è la tragicità, ma forse un po’ di responsabilità c’è, e da parte di tutti. Non possiamo continuare a parlare e discutere e poi continuare a maltrattare, sfruttare, violentare la terra. Non possiamo continuare a parlare, a blaterare parole, e poi farci prendere dall’amnesia per le parole che abbiamo detto. O ci decidiamo, o davvero accadrà l’imprevedibile, il punto di non ritorno. È tempo di fare sul serio, perché il conto che la natura ci pone davanti è talmente salato e evidente che non possiamo più disattenderlo.
Ce la prendiamo con il destino e il fato, ma dobbiamo prendercela con noi stessi, ciascuno per le cose che non ha fatto, per gli impegni che non abbiamo portato avanti. Oggi è difficile intonare il Laudato sì o mio Signore, perché la madre terra da alleata è diventata nemica: questo è oggi il dramma. Eppure il Signore non ci lascia soli. Come Giobbe abbiamo la speranza:” Vedrò il mio Redentore con questi occhi, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. Questa certezza, quasi nel momento della fine della vita è la speranza cristiana. Una speranza che è un dono. Anche se ci sono tante cose brutte che ci portano a disperare, come se tutto portasse a una sconfitta finale, ritorna la voce di Giobbe. La speranza non delude. La speranza ci attira e da un senso alla vita. La speranza è un’ancora. L’ancora è Gesù. Rimanere uniti a Lui ci da la forza anche nei momenti brutti, nei momenti di morte.